Il Triduo pasquale si apre il giovedì sera, poiché nell’antichità e in Antico Regime il giorno iniziava al tramonto del giorno precedente.
La Messa in Coena Domini è memoria forte ed intensa della Cena del Signore o Ultima Cena.
Il peso simbolico dei gesti è altissimo: la cena pasquale del popolo di Israele, lo spezzare il pane memoria del Signore e la lavanda dei piedi narrata dall’evangelista Giovanni ci fanno ben comprendere che non ci può essere fede, cioè rapporto con Dio, senza segni.
La cena del Signore non è una rappresentazione, una ripetizione teatrale, tanto meno un rito magico e neanche soltanto un ricordo, ma una azione che ci parla con codici diversi, contemporaneamente, dove ogni parte illumina ed arricchisce l’altra.
Prima lettura (Es., 12, 1-8. 11-14)
Gesù chiede ai suoi discepoli: “Andate a preparare per noi, perché possiamo mangiare la Pasqua” (Lc., 22, 8), la Pasqua ebraica narrata nella prima lettura.
Si tratta di una festa, di una grande festa, e quindi deve essere preparata: “Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne” (Es., 12, 14).
È la Pasqua del Signore: festa della partenza. Un popolo schiavo lascia la terra della sua schiavitù e prende la strada della libertà.
Il Giovedì Santo ci inserisce nella storia santa, che è la nostra storia.
La cena pasquale dei nostri fratelli maggiori abita il mistero di questo giorno.
Seconda lettura (1Cor., 11, 23-26)
“Questo è il mio corpo, che è per voi” (1Cor, 11, 24)
Il Giovedì Santo Gesù dà un significato nuovo alla benedizione del pane e del calice del vino, rito della Pasqua ebraica: questo è il mio corpo, che è per voi (v. 24).
Nella celebrazione del Giovedì Santo siamo a tavola con Gesù, che con le sue mani ci dona il pane che è il suo corpo.
Il Giovedì Santo è memoria forte della libera volontà di Gesù di offrirsi: come ha liberamente deposto le vesti (Gv., 13, 4), così liberamente dona se stesso nel pane, che è il suo corpo.
Il Giovedì Santo è memoria del dono pieno e totale di Gesù.
Il Giovedì Santo rinnova il mistero della fede che abita interamente il mistero dell’Eucaristia.
“Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue” (1Cor, 11, 25)
Il calice di benedizione, che nella cena pasquale ebraica introduce alla lode, diviene per Gesù il segno del dono del suo sangue: Nel mio sangue che è esplicito annuncio della sua morte.
Il sangue, che simboleggia la vita, trasmetterà la vita stessa di Gesù a coloro che lo berranno. Questo sangue è anche il vino nuovo, vino della festa con cui Gesù inaugura il suo ministero pubblico a Cana, come narrato all’inizio del vangelo di Giovanni, (Gv., 2, 1-11).
Il Giovedì Santo ci fa anche celebrare una nuova alleanza perché dice Gesù: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue (1Cor., 11, 25), come lo fu quello con cui Mosè asperse il popolo per sigillare, con il segno della vita, l’alleanza che Dio aveva concluso con il suo popolo.
Celebrare la cena del Signore è molto di più che sedersi alla sua tavola: è essere chiamati alla alleanza nuova, alla alleanza eterna.
Fate questo in memoria di me (1Cor, 11, 24. 25)
Quando giunge la morte, giunge il momento del testamento. Quello di Gesù è molto breve: Fate questo in memoria di me.
Il testamento di Gesù, ciò che lascia in eredità ai suoi discepoli, è celebrare l’Eucaristia, condividere il pane e il calice del vino in memoria di lui.
Il Giovedì Santo è, nell’anno liturgico, il giorno in cui la Chiesa non solo celebra l’Eucaristia, ma anche la sua istituzione.
Nel corso della Cena pasquale Gesù annuncia ai discepoli che si tratta dell’ultimo pasto con loro: Non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, con voi, nel regno del Padre mio (Mt., 26, 29). La cena di Gesù con i suoi discepoli nel cenacolo annuncia un altro banchetto, in cui scorrerà il vino nuovo.
Ai discepoli nel cenacolo, e ad ogni discepolo, è domandato di annunciare la morte del Signore finché egli venga (1Cor., 11, 26) con la celebrazione dell’Eucaristia, ma solo fino a quando Gesù verrà nella gloria. Allora la Pasqua troverà il compimento nel Regno.
Vangelo (Gv., 13, 1-15)
Sapendo che era venuta la sua ora di passare (Gv., 15, 1)
Gesù desidera celebrare questa Pasqua (Lc., 22, 15), questo passaggio.
Il passaggio dalla schiavitù alla libertà per Israele, di cui ci ha fatto fare memoria la prima lettura di oggi, è ormai quello di tutta l’umanità.
Questo passaggio si compie nella persona di Gesù, nella sua morte, morte in cui sarà glorificato.
Il Giovedì Santo prepara il Venerdì Santo, la cena pasquale rivela il senso di ciò che domani farà fuggire i discepoli.
La sera del Giovedì Santo, il segno del pane e del vino sono il segno che Gesù si dona pienamente e liberamente: Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (Gv., 13, 1).
Cominciò a lavare i piedi dei discepoli (Gv., 13, 5)
Dopo essersi spogliato delle vesti, prese un asciugamano e se lo cinse intorno alla vita (Gv., 13, 4): nel giorno del Giovedì Santo, Gesù vuole farci contemplare Dio in ginocchio che ci lava i piedi.
Il Signore, come uno schiavo, compie un gesto sconveniente anche per uno schiavo ebreo, tanto che lo si poteva esigere solo da uno schiavo pagano.
Questo è il segno che Gesù sceglie di compiere nell’ora in cui passa da questo mondo al Padre: un segno che, ancora una volta paradossalmente, manifesta la sua signoria.
Gesù rende questo servizio non benché sia il Signore, ma proprio perché è il Signore (F.-X. Durrwell).
Attraverso questo segno semplice Gesù vuole imprimere nella mente e nel cuore dei suoi discepoli il segno del servizio.
La sera del Giovedì Santo la Chiesa facendo memoria del segno dello spezzare il pane e del segno del servizio impara sempre di nuovo ad essere quello che è e deve essere.
Il Giovedì Santo evangelizza la comunità, ricorda alla comunità dei credenti che ogni ministero nella Chiesa è condivisione e servizio.
Fa bene alla Chiesa in questo giorno mettersi in ginocchio.
Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron (Gv., 18, 1)
L’evangelista Giovanni, dopo il lungo discorso (capp. 13-17) di Gesù durante l’Ultima Cena, che inizia con la lavanda dei piedi, di cui ascoltiamo oggi il racconto, ci parla del passaggio di Gesù alla sua passione: Dopo aver detto queste cose, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron, dove c’era un giardino (Gv., 18, 1).
La sera del Giovedì Santo Gesù ci invita, come ha fatto con i discepoli, ad accompagnarlo nell’abbassamento, nello svuotamento, nell’umiliazione (seconda lettura della Domenica delle Palme) che sta per vivere fino a sentirsi abbandonato dal Padre, senza perdere la sua fiducia di Figlio.
Gesù al termine della Cena ci chiede di attraversare il Cedron con lui.
È questo il significato della processione che conclude la liturgia del Giovedì Santo.
La Cena pasquale è una cena di partenza, un mettersi in cammino: Alzatevi, andiamo, dice Gesù ai discepoli.
È l’ora della lotta, dell’agonia, in cui Gesù affronta non solo l’abbandono dei suoi, ma anche la sua fragilità umana e il potere delle tenebre: Questa è l’ora vostra e il potere delle tenebre (Lc., 22, 53).
La liturgia dopo la celebrazione della messa in Coena Domini fa spogliare l’altare, segno della spogliazione che vive Gesù e della spogliazione che in lui vive tutta l’umanità.
Questo segno ha quest’anno una connotazione del tutto speciale.
Gesù non è andato da solo dall’altra parte del torrente Cedron: ha voluto con sé i suoi discepoli e desidera che anche noi lo seguiamo.
Che cosa ci chiede?
Di restare con lui, di vegliare e di pregare.
Capite quello che ho fatto per voi? (Gv., 13, 12)
Nel 1922 Romano Guardini ha scritto I santi segni: libro facilmente leggibile e molto illuminante.
Ognuno sperimenta una certa ambivalenza nei confronti dei segni e dei gesti simbolici: alcuni ritengono che non servono a nulla, altri li ritengono indispensabili per esprimere idee e smuovere coscienze.
Gesù non vi ha mai rinunciato.
Durante l’Ultima Cena ha consegnato ai suoi discepoli e all’umanità due gesti fondamentali: l’offerta del pane e del vino (come segno dell’offerta di tutto se stesso) e la lavanda dei piedi (segno del servizio che la comunità cristiana deve vivere ogni giorno).
È importante non smarrire il senso dei segni.
Gesù dopo aver lavato i piedi dei discepoli riprende le sue vesti e dice: Capite quello che ho fatto per voi? (v. 12).
Non sono solo le parole che devono essere capite, ma anche, e forse soprattutto, i gesti, i segni.
La domanda di Gesù non lascia dubbi: ci chiede di capire quello che ha fatto, non quello che ha detto.
Le parole sono preziose per spiegare, ma i gesti a volte sono più eloquenti delle parole.
L’asciugamano, il chinarsi, il lavare i piedi, sono gesti che risultano incomprensibili a Pietro, come risultavano incomprensibili ai giudei le parole di Gesù in cui diceva che dovevano mangiare il suo corpo e bere il suo sangue (Gv., 6, 53-54).
Nell’Ultima Cena, anche queste parole vengono trasformate in gesti: prendete, mangiate e bevete e fate questo in memoria di me.
Anche a noi Gesù chiede se capiamo quello che ha fatto per noi, e capire va molto al di là del sapere: posso anche sapere che Gesù mi ha lavato i piedi o che è morto in croce per me, senza entrare in una comprensione viva che mi mette in comunione con il mistero di Dio, con il mistero di Gesù, con il mistero del suo abbassarsi e della sua misericordia.
Quali segni trasmetteremo, lasceremo in eredità alle future generazioni?
Suggerimenti
Celebrazione
Suggerisco di partecipare alla celebrazione presieduta dal papa in San Pietro giovedì 9 alle ore 18 (Rai 1 e TV 2000).
Segni
Se lo ritenete opportuno, potete collocare nel luogo che ritenete più adatto un piatto con un pane ed una coppa con del vino insieme ad un asciugamano.
Per la preghiera
Sia in preparazione alla celebrazione delle 18, sia per meditare la parola di Dio ascoltata durante la celebrazione, potete riprendere le letture della Messa nella Cena del Signore, utilizzando, se lo credete, i commenti che vi ho inviato.
Per l’approfondimento
- Rahner-J. Ratzinger, Settimana Santa, Queriniana.
- U. von Balthasar, Teologia dei tre giorni. Mysterium Paschale, Queriniana.
- Lehmann, Passione, morte e risurrezione, Queriniana.