Il Rosario

“Il rosario, pur caratterizzato
dalla sua fisionomia mariana,
è preghiera dal cuore cristologico”
Rosarium Virginis Mariæ, 1.

Il rosario è preghiera molto cara a numerosi santi e incoraggiata dal magistero della Chiesa, “sviluppatosi gradualmente nel secondo millennio al soffio dello Spirito di Dio” che accompagna la vita della Chiesa. Giovanni Paolo II nella sua lettera apostolica[1] afferma che il rosario “concentra in sé la profondità dell’intero messaggio evangelico, di cui è quasi un compendio. In esso riecheggia la preghiera di Maria; con esso il popolo cristiano si mette alla scuola di Maria”.

 

Alcuni malintesi

Il rosario è una devozione antica che ha esercitato un influsso incalcolabile nella mente e nel cuore dei credenti ed appartiene alla vita del popolo cristiano come il lavoro e il pane; ma quando l’uomo cade nell’inquietudine del ragionamento o nell’agitata vita moderna, rischia di perderne il gusto e l’abitudine. Questa preghiera allora non ha più nulla da dirgli e sarebbe vano insistere con lui.

Sia in passato che oggi, alcuni malintesi hanno alimentato una certa avversione a questa preghiera. Innanzitutto l’invito di Gesù nel Discorso della Montagna: “Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate” (Mt., 7, 8).

Queste parole di Gesù sono il fondamento di ogni concezione cristiana della preghiera; si potrebbe pensare che il rosario sia proprio l’opposto, perché consiste in una continua ripetizione e qualche volta viene recitato in maniera così affrettata ed esteriore da far pensare ai rimproveri di Isaia rivolti al popolo ebraico che si avvicina a Dio con le parole e con le labbra, “ma col cuore è lontano da me” (Is., 29, 13).

Un’altra obiezione al rosario è il ritenerlo una preghiera “pagana” poiché simili forme di preghiera esistono nell’Islam, nell’Induismo e nel Buddismo[2]. La lettera apostolica di Giovanni Paolo II dedica l’intero numero 4 alle “Obiezioni al rosario”, sottolineandone soprattutto due. La prima: “c’è chi pensa che la centralità della liturgia, giustamente sottolineata dal Concilio ecumenico Vaticano II, abbia come conseguenza una diminuzione dell’importanza del rosario. In realtà, come precisò Paolo VI, questa preghiera non solo non si oppone alla liturgia, ma le fa da supporto”.

La seconda obiezione riguarda il ritenerla “poco ecumenica, per il suo carattere spiccatamente mariano”.

Il rosario, ben inteso, si pone nell’orizzonte dei grandi concili che hanno trattato della Madre di Dio e del Concilio Vaticano II che ha delineato il culto alla Madre di Dio orientato al centro cristologico della fede cristiana, in modo che “quando è onorata la Madre, il Figlio […] sia debitamente conosciuto, amato, glorificato”[3].

 

Origini e sviluppo del rosario

L’origine del rosario[4] è da mettere in relazione con l’ideale della preghiera continua che si praticava con la ripetizione di una formula breve, come per esempio: “O Dio, vieni a salvarmi, Signore vieni presto in mio aiuto” (Salmo 69, 2). La ripetizione portò alla preghiera numerica con riferimento al Salterio. Da qui nacque la sostituzione: 150 formule brevi sostituirono i salmi e un numero variante di Pater sostituì le ore canoniche: “qui non potest psallere, debet patere”, chi non può recitare i salmi deve recitare dei Pater. Parallelamente, nel Medioevo, si affermò l’attenzione ai misteri di Cristo e alla sua umanità, nonché ai dolori e alle gioie della Madonna. Ad esempio Enrico Susone, morto nel 1366, propose diversi esercizi esplicitamente riferiti alla Passione di Cristo e ai dolori di Maria. I gaudi della Vergine erano contati da cinque a sette a otto a quindici e addirittura a 150; la meditazione sui dolori e le gioie della Vergine e di Cristo era accompagnata da Pater e da Ave. Nel XII secolo in alcune comunità cistercensi iniziò l’uso dei Salteri mariani, aggiungendo anche un’antifona mariana. Contribuirono alla formulazione progressiva del rosario le meditazioni sulla vita di Cristo di Giovanni de Caulibus e ancor più la Vita di Cristo di Ludolfo di Sassonia, morto nel 1377, che fu determinante nel radicare il riferimento ai misteri di Cristo nella preghiera personale.

All’inizio la formula più usata fu il Padre nostro, tanto che Paternoster designava lo strumento per contare le preghiere; in seguito prevalse l’uso dell’Ave Maria. San Pier Damiani, morto nel 1072, testimonia la frequenza dell’Ave e già nel XIII secolo si formò un “rosario” di cinquanta Ave e un “salterio” di centocinquanta Ave recitato da singoli o da gruppi di devoti come nel Beghinaggio di Gand.

Queste diverse pratiche portarono alla organizzazione graduale di un metodo di preghiera fino alla attuale configurazione del rosario. Determinanti per questa evoluzione sono stati due certosini ed un domenicano. Enrico Egher di Kalcar, morto nel 1408, divise il salterio delle centocinquanta Ave in quindici decadi, precedute ognuna da un Pater; l’Ave non comportava la seconda parte attuale né “misteri” da meditare. Il secondo intervento risale a Domenico di Prussia, morto nel 1460, che, partendo dal rosario delle cinquanta Ave, unì una “clausola” al nome di Gesù al termine di ogni Ave, formando così un rosario di cinquanta Ave e cinquanta clausole tratte dalla Vita di Cristo di Ludolfo di Sassonia. Il domenicano Alano de la Roche, morto nel 1475, stabilizzò il rosario utilizzandolo anche come strumento di pastorale. A questo scopo istituì la prima confraternita tra il 1464 e il 1468, ufficialmente approvata dall’Ordine domenicano il 16 maggio 1470. Essa traeva origine da precedenti confraternite che comportavano una riunione mensile, il canto di lodi alla Vergine, la predica, la messa. Fino al XIII secolo questo tipo di confraternite continuarono a prescrivere preghiere vocali con uno schema che riprendeva quello delle ore canoniche; Alain de la Roche vi sostituì il salterio / rosario di 150 formule. Egli conosceva e raccomandava molti salteri o rosari, ma preferiva le quindici decadi in funzione dei quindici Pater e tra le sue proposte c’è anche l’attuale rosario: “la prima cinquantina si preghi ad onore di Cristo incarnato; la seconda di Cristo che sostiene la Passione; la terza ad onore di Cristo che risorge, che sale al cielo, che manda il Paraclito, che siede alla destra del Padre, che verrà a giudicare”[5].

Dopo la morte di Alano, la confraternita fondata a Colonia dal priore domenicano Giacomo Spranger l’8 settembre 1475 riduce da giornaliero a settimanale l’obbligo delle 150 formule, propone la divisione in cinquantine, al nome Salterio sostituisce Rosario: è la nascita del rosario moderno. Probabilmente nel 1481 compare per la prima volta il termine “misteri”, termine ripreso da Alberto da Castello, che pubblica a Venezia nel 1521 il Rosario della gloriosissima Vergine Maria, dove le 150 clausole vengono sostituite con meditazioni di momenti della vita di Cristo legati al Pater che vengono denominate “misteri”, caratterizzanti la “decina”.

 

Il rosario nel magistero della Chiesa

Quasi al termine del processo di evoluzione del rosario moderno, il pontefice Pio V intervenne con la Consueverunt del 17 settembre 1569. Dopo di lui molti pontefici hanno attribuito grande importanza alla preghiera del rosario ed in particolare Leone XIII che il primo settembre 1883 promulgava l’enciclica Supremi apostolatus officio, alto pronunciamento col quale inaugurava richiami quasi annuali sul rosario. Tra i papi più recenti si sono distinti nella promozione del rosario Pio XI nell’Ingravescentibus malis del 29 settembre 1937, nella quale, individuando i mali che precedono la seconda guerra mondiale, esorta alla recita del rosario per superarli. Ugualmente, in un contesto diverso, fa Pio XII nell’Ingruentium malorum del 15 settembre 1951. Giovanni XXIII rievoca l’insegnamento di Leone XIII e con diversi interventi dà impulso al rosario, specialmente con la sua lettera apostolica sul rosario Il religioso convegno del 29 settembre 1961 e nel documento Œcumenicum Concilium del 28 aprile 1962, in cui chiede la recita del rosario per il Concilio.

Paolo VI nell’esortazione apostolica Marialis cultus[6] sottolineò, in armonia con l’insegnamento del Concilio Vaticano II, il carattere evangelico del rosario, il suo orientamento cristologico e pasquale. Ciò che è più significativo del magistero di Paolo VI sul rosario riguarda il riferimento all’uso delle clausole, il rapporto con la liturgia, l’apprezzamento dei pii esercizi rosariani e la raccomandazione sul non esclusivismo del rosario.

Giovanni Paolo II è intervenuto con il documento Rosarium Virginis Mariæ: il pontefice innanzitutto sottolinea che il senso profondo della preghiera del rosario consiste nella contemplazione del volto di Cristo attraverso lo sguardo di Maria e indica gli atteggiamenti che l’orante deve fare propri. In questo documento in modo innovativo propone una nuova serie di cinque “misteri della luce”: battesimo di Cristo, sua autorivelazione alle nozze di Cana, annuncio del Regno di Dio con l’invito alla conversione, trasfigurazione, istituzione dell’Eucaristia. Infine suggerisce diverse risorse di “tecnica” nel pregare il rosario: l’enunciazione del mistero può avvalersi anche di una icona; si può proclamare un testo biblico seguito da una breve pausa di silenzio; nelle Ave si può introdurre una clausola per evocare il mistero della decina e dare rilievo al nome di Cristo; il Gloria nella recita pubblica può essere cantato; in luogo della giaculatoria sarebbe più opportuna una preghiera per conseguire i frutti della meditazione.

 

Ispirazione evangelica del rosario e suo rapporto con la liturgia

Il rosario è evangelico perché evangelici sono il Pater, l’Ave, il Gloria e i misteri. Il rosario ci guida a concentrarci su alcune formule verbali brevi di origine evangelica e su alcuni misteri della vita di Cristo: infanzia, vita pubblica, passione e risurrezione.

Molto felice a questo proposito è la formula che Paolo VI riprende da Pio XII: il rosario è “totius evangelii breviarium”, compendio di tutto quanto il vangelo[7].

Paolo VI interviene anche efficacemente sul malinteso che abbiamo sopra evocato riguardante il rapporto tra rosario e liturgia. Premesso che liturgia e rosario “non si devono né contrapporre né equiparare e che hanno in comune il rivolgersi ai misteri di Cristo”, Paolo VI stabilisce la differenza fondamentale tra rosario e liturgia. La liturgia rende presenti (efficit) i misteri della redenzione, il rosario “con il pio affetto della contemplazione rievoca quegli stessi misteri alla mente dell’orante” (in mentem orantis revocat) e ne stimola la volontà perché da essi attinga norme di vita. Il rosario quindi conduce naturalmente alla liturgia, “pur senza varcarne la soglia”[8].

Giovanni Paolo II riprende la stessa prospettiva e lo stesso insegnamento: il rosario “fa da supporto” alla liturgia, “giacché ben la introduce e la riecheggia, consentendo di viverla con pienezza di partecipazione interiore, raccogliendone frutti nella vita quotidiana[9]. Nella stessa lettera (n. 13) il pontefice sottolinea che “la vita spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola sacra liturgia. Il cristiano, chiamato alla preghiera in comune, nondimeno deve anche entrare nella sua camera per pregare il Padre nel segreto (Mt., 6, 6), anzi deve pregare incessantemente come insegna l’Apostolo (1Ts., 5, 17). Il rosario si pone, con una sua specificità, in questo variegato scenario della preghiera incessante e se la liturgia, azione di Cristo e della Chiesa, è azione salvifica per eccellenza, il rosario, quale meditazione su Cristo con Maria, è contemplazione salutare. L’immergersi infatti, di mistero in mistero, nella vita del Redentore fa sì che quanto egli ha operato e la liturgia attualizza venga profondamente assimilato e plasmi l’esistenza”.

 

Gesù sostanza della vita di Maria

I vangeli parlano con molta discrezione di Maria; il vangelo di Giovanni ne parla due sole volte, all’inizio della vita pubblica di Gesù, a Cana, e alla fine, ai piedi della croce. I discepoli fin dal principio l’hanno circondata di particolare amore e rispetto e il popolo cristiano ha sempre amato Maria in modo speciale, fondandosi sulla parola di Gesù dalla croce al discepolo che egli amava, ma dopo di lui ad ogni discepolo e cioè ad ognuno di noi: “Ecco tua madre” (Gv., 19, 27). Maria è madre di Gesù, ma è anche nostra madre e a lei, come a Cana, ricorriamo perché interceda per noi presso suo Figlio.

Gesù Cristo è stato il contenuto della vita di Maria: certamente un cuore umano, sia pure il più profondo, non potrà mai entrare con Cristo in un rapporto uguale a quello che ci unisce ad un altro uomo. Le più profonde radici del suo essere sono sì umane, ma soprattutto divine.

Romano Guardini[10] afferma che si può essere grandi in due modi: di per sé, come un creatore, un eroe, un precursore, un uomo di singolare destino, oppure amando questo grande. Il secondo modo è nobile quanto il primo, poiché per comprendere e contenere in sé l’esistenza di un altro occorre una forza d’animo pari alla figura e al destino della persona amata.

Maria fu la madre di Gesù, ma ogni volta che il vangelo ci parla di lei essa appare non solo come la donna che partorì e allevò il bambino Gesù, ma anche come colei che progressivamente e a volte faticosamente entrò nel mistero e nella missione della vita di suo Figlio: “Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro” (Lc., 2, 50); “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc., 2, 19, 51).

La vita di Maria come narrata nei vangeli è una vita pienamente umana, ma l’umanità di Maria è piena del mistero della comunione con Dio e dell’amore di Lui, della cui profondità noi a fatica riusciamo a farci un’idea.

In questo senso Gesù è la sostanza della vita di Maria: egli è suo Figlio, ma nello stesso tempo il suo Redentore. Nel suo rapporto con Gesù non si compie solo la sua maternità, ma anche la sua redenzione: mentre diventa madre diventa cristiana; mentre vive con suo Figlio, vive con quel Dio di cui egli è la vivente manifestazione; mentre cresce umanamente col suo Figlio, come fa ogni madre, mentre gli apre la via all’esistenza accettando le rinunce e i dolori che questo comporta, essa stessa diventa umanamente libera e cresce nella grazia e nella verità di Dio. Per questo Maria non è solo una grande cristiana, né una tra le tante sante, ma è Sola ed Unica. Nessuna è come lei perché in nessuna creatura avvenne ciò che avvenne in lei.

A tutto questo si ispira la preghiera del rosario. Nel rosario noi viviamo nella sfera della vita di Maria, il cui contenuto fu Cristo, ed in ultima analisi il rosario è una preghiera a Cristo: la prima parte dell’Ave si chiude col suo nome: “benedetto il frutto del tuo seno Gesù”.

Nella preghiera del rosario contempliamo la figura e la vita di Gesù, non però come nella Via Crucis, in modo diretto, ma attraverso lo sguardo e la vita di Maria, come da lei veduto, da lei sentito e “custodito nel suo cuore”.

“Un soffio di santa simpatia pervade tutto il rosario. Quando una persona ci sta molto a cuore, ci rallegriamo di incontrarne un’altra che a lei sia legata. Troviamo la sua immagine rispecchiata in un’altra esistenza e la vediamo per così dire con nuovi occhi. Il nostro sguardo si incontra con uno sguardo che ugualmente la contempla con amore e acquista perciò una maggiore forza di penetrazione. La nostra visione si allarga e noi vediamo da ogni lato la figura amata che prima vedevamo da un punto solo […]. L’essenza della simpatia consiste proprio nel fatto che l’altra persona pone la sua vita a disposizione della nostra, così che noi diventiamo capaci di vedere ed amare anche coi suoi occhi e col suo cuore”[11].

Qualche cosa di simile, ma in modo diverso e più alto, come direbbe l’apostolo Giovanni, avviene nel rosario: anche per noi, attraverso Maria, la vita di Gesù Cristo può divenire contenuto e sostanza della nostra esistenza.

 

Le ripetizioni e i misteri

La preghiera del rosario è preghiera semplice, ma, è doveroso riconoscerlo, necessita di un apprendimento.

Pregare vuol dire comunicare con Dio e questa comunicazione è vita. Diverse sono le forme della preghiera ed i salmi ci propongono le due forme principali della preghiera, la domanda e il ringraziamento: domandare fino a ringraziare e tornare a domandare per poi ringraziare.

Esiste anche un’altra forma di preghiera che privilegia lo stare alla presenza di Dio con una sola parola o senza parole. San Francesco trascorreva notti intere invocando: Mio Dio e mio tutto. I Padri della Chiesa parlano di una preghiera di fuoco, in cui anche le poche parole cadranno per stare di fronte a Dio.

Vi è anche una forma di preghiera conosciuta dall’Islam, dall’Induismo e dal Buddismo, ma anche dalla tradizione orientale cristiana con il nome di preghiera del cuore e da quella occidentale sotto forma di litanie, giaculatorie ripetute o versetti biblici ripetuti; questa ultima forma era chiamata nella tradizione medievale le orationes secretæ.

I monaci, per entrare nel clima della preghiera, stando in coro, prima dell’inizio della preghiera delle ore, ripetevano meccanicamente molti Pater e molte Ave, per passare dal lavoro e dagli impegni quotidiani allo spazio interiore della preghiera. La ripetizione è allora solo la forma esteriore della preghiera, quasi una tecnica, ed ha lo scopo di rendere il movimento interiore più calmo e più pieno.

A questo tipo di preghiera appartiene il rosario. Il rosario è preghiera numerica che al 150 del salterio unisce il riferimento al dieci, il numero delle dita e dunque il modo umano elementare di dividere la quantità. L’alternanza delle decine e un numero prefissato da raggiungere creano il ritmo e la tranquillità.

Il rosario è una preghiera che medita ripetendo, secondo la categoria biblica per cui la meditazione è ripetere le parole e soprattutto secondo la modalità specifica della liturgia che approfondisce ripetendo e amplificando e non spiegando.

La nostra mente raramente si concentra su una sola cosa, più frequentemente pensiamo due cose contemporaneamente, anche quando leggiamo, quando ascoltiamo una conferenza, una predica o altro. Le tecniche ripetitive prendono in conto questo funzionamento della nostra mente: la ripetizione delle dieci Ave occupa una “parte” della nostra mente, lasciando un’altra “parte” più libera per meditare il mistero. La ripetizione forma così come il letto di un fiume o di un torrente che incanala l’acqua e diventa, nel rosario, il “letto” sul quale può scorrere la meditazione.

I misteri possono essere enunciati principalmente con due modalità: all’inizio della decina, prima del Pater, o con la clausola dopo la parola Gesù al termine della prima parte dell’Ave.

La lettera apostolica Rosarium Virginis Mariæ così propone l’uso delle clausole: “Il baricentro dell’Ave Maria, quasi cerniera tra la prima e la seconda parte, è il nome di Gesù. Talvolta, nella recitazione frettolosa, questo baricentro sfugge e con esso anche l’aggancio al mistero di Cristo che si sta contemplando. Ma è proprio dall’accento che si dà al nome di Gesù e al suo mistero che si contraddistingue una significativa e fruttuosa recita del rosario.

Già Paolo VI ricordò, nella esortazione apostolica Marialis cultus, l’uso praticato in alcune regioni di dare rilievo al nome di Cristo, aggiungendovi una clausola evocatrice del mistero che si sta meditando. È un uso lodevole, specie nella recita pubblica: esso esprime con forza la fede cristologica, applicata ai diversi momenti della vita del Redentore. È professione di fede e, al tempo stesso, aiuto a tenere desta la meditazione, consentendo di vivere la funzione assimilante, insita nella ripetizione dell’Ave Maria, rispetto al mistero di Cristo.

Ripetere il nome di Gesù – l’unico nome nel quale ci è dato di sperare salvezza (At., 4, 12) – intrecciato con quello della Madre Santissima e quasi lasciando che sia lei stessa a suggerirlo a noi, costituisce un cammino di assimilazione che mira a farci entrare sempre più profondamente nella vita di Cristo.

Dallo specialissimo rapporto con Cristo che fa di Maria la Madre di Dio, la Theotòkos, deriva la forza della supplica con la quale a lei ci rivolgiamo nella seconda parte della preghiera, affidando alla sua materna intercessione la nostra vita e l’ora della nostra morte[12].

Costantino Gilardi (2009)

 

Per l’approfondimento:

  • Guardini, Il rosario della Madonna, Morcelliana, Brescia.
  • Ghiberti, La vicenda di Gesù nei misteri del rosario, Effatà Editrice, Torino 2016.

 

[1] Giovanni Paolo II, Rosarium Virginis Mariæ, 16 ottobre 2002, in Enchiridion Vaticanum, 21, nn. 1167-1250; si veda anche AA. VV., Riflessioni sulla Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II Rosarium Virginis Mariæ, Città del Vaticano 2003.

[2] S. Perrella, Rosarium Beatæ Virginis Mariæ, in “Marianum”, 66, 2004, pp. 449-452.

[3] Lumen Gentium, 66.

[4] Per una più ampia trattazione si veda R. Barile, Rosario, in Mariologia, a cura di S. De Fiores, V. Ferrari Schiefer e S. M. Perrella, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2009, pp. 1034-1041 e l’ampia bibliografia ivi riportata.

[5] Alano, Apologia, IV, 14, 20.

[6] Paolo VI, Esortazione apostolica Marialis cultus, 2 febbraio 1974, in Enchiridion Vaticanum, 5, nn. 13-97; sul rosario i numeri 42-55, 73-87.

[7] Marialis cultus, 42.

[8] Marialis cultus, 48.

[9] Rosarium Virginis Mariæ, 4.

[10] R. Guardini, Il rosario della Madonna, Morcelliana, Brescia 1994, p. 29.

[11] Ibid., p. 34. L’intero paragrafo, con pochi adattamenti, è tratto da R. Guardini.

[12] Rosarium Virginis Mariæ, 33.