Come ho ricordato nel commento alla Veglia pasquale, la Chiesa antica battezzava nella notte di Pasqua. I battezzati, che erano adulti, rivestivano una veste bianca, che ancora oggi viene consegnata ad ogni battezzato.
La veste bianca veniva deposta otto giorni dopo la Pasqua, la domenica successiva, che è stata per questo chiamata domenica in albis deponendis.
Prima lettura (At 2, 42-47)
Gli Atti degli Apostoli
Durante il tempo di Pasqua come prima lettura si leggono gli Atti degli Apostoli.
La tradizione più antica identifica come autore degli Atti l’evangelista Luca, medico, di origine pagana, che, responsabile di una comunità piuttosto stanca, “seduta”, decide negli anni Settanta / Ottanta di scrivere un resoconto ordinato per raccontare […] gli avvenimenti [la vita di Gesù] che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola (Lc 1, 2).
Luca decide ugualmente di scrivere un secondo racconto, il cui protagonista è la Parola annunciata che a cominciare da Gerusalemme giunge fino a Roma, capitale dell’impero. Gli Atti narrano la nascita della chiesa di Gerusalemme, mostrando il ruolo dei Dodici e in particolare di Pietro; narrano poi le diverse strade che assume la missione degli apostoli, in cui è prevalente la predicazione di Paolo narrata nella seconda metà del libro degli Atti dopo l’assemblea di Gerusalemme al capitolo 15.
Nell’ assemblea di Gerusalemme, non a caso al centro degli Atti, si affronta il rapporto tra Legge e Vangelo e quindi tra la comunità dei credenti in Cristo e Israele.
Il più celebre sommario degli Atti
La prima lettura di oggi (At 2, 42-47) è il più celebre sommario del libro degli Atti, che non deve però essere isolato dal contesto che lo precede.
Questo sommario narra la perseveranza dei primi seguaci di Cristo, sottolineandone la capacità di stare in comunione: è in questo modo che nascono le prime comunità dei cristiani.
Perseveranti significa che erano saldi / dediti, poiché i cristiani della comunità di Gerusalemme sceglievano ogni giorno di vivere in questo modo.
Luca indica quattro tratti che identificano la chiesa delle origini:
- l’insegnamento degli apostoli (la didaché, cioè il Primo e il Secondo Testamento)
- la comunione (la koinonìa, cioè il mettere i beni in comune)
- lo spezzare il pane (la fractio panis, che praticavano nelle case e cioè la nostra Eucaristia di oggi)
- le preghiere (che praticavano al tempio e nelle case).
La didaché di cui parla Luca è una proclamazione di Gesù messia, confermata dalle Scritture, che esprime questa “nuova” iniziativa di Dio. È la parola di Dio fondamento di ogni comunità cristiana. L’apostolo Paolo dice: La fede nasce dall’ascolto (Rom 10, 17).
La koinonìa, cioè la comunione, significa
– sia la condizione materiale della condivisione dei beni:
Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune, vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno (At 2, 44-45).
– sia la dimensione spirituale:
Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo (At 2, 46).
Lo spezzare il pane (fractio panis) era praticato nelle case. I cristiani di Gerusalemme continuavano a pregare al tempio, ma si trovavano nelle case ove nella prima parte della riunione i testimoni diretti o chi aveva ascoltato dai testimoni diretti raccontava ciò che Gesù aveva detto e fatto (la nostra attuale liturgia della parola). La seconda parte era la preghiera di ringraziamento (Eucaristia), che terminava a tavola con il pasto comune e lo spezzare il pane in memoria della cena del Signore.
Il plurale preghiere evoca una pratica regolare della preghiera, seguendo il ritmo giudaico del tamid, con le sue tre preghiere quotidiane, all’alba, alle 11 e al tramonto.
La stessa Didachè (opera contemporanea degli ultimi scritti del Nuovo Testamento) conclude il “Padre nostro” con l’invito a pregare tre volte al giorno: la attuale prassi cristiana della preghiera delle ore nasce dall’adozione del ritmo giudaico della preghiera quotidiana.
La prima lettura si conclude con una annotazione che accompagna gli Atti dall’inizio alla fine: intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati (Lc 2, 47).
Luca oltre al cammino della Parola annota il numero di coloro che la accolgono:
Allora coloro che accolsero la sua [di Pietro] parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone (At 2, 41).
Molti di quelli che avevano ascoltato la Parola credettero e il numero degli uomini raggiunse circa cinquemila (At 4, 4).
E la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede (At 6, 7).
E la mano del Signore era con loro e così un grande numero credette e si convertì al Signore (At 11, 21).
Le chiese intanto andavano fortificandosi nella fede e crescevano di numero ogni giorno (At 16, 5).
Seconda lettura (1Pt 1, 3-9)
La prima lettera di Pietro inizia con l’intestazione, seguita dall’inno che leggiamo oggi.
Inno di benedizione
Il dire-bene di Dio non è generico, ma si precisa fin da subito che si tratta del Padre del Signore nostro Gesù Cristo: si tratta del Dio che si è manifestato in Gesù Cristo.
La benedizione / ringraziamento nei confronti di Dio è motivata dall’aver dato nuova vita ai cristiani.
La rinascita è opera di Dio e l’uomo può essere rigenerato per una speranza viva che è tale perché opera della risurrezione di Gesù Cristo.
La fede messa alla prova
L’autore della lettera riprende l’immagine del crogiolo, ove, ad opera del fuoco, il metallo prezioso viene separato dalle scorie e l’oro, purificato, diventa oro puro:
anche se ora dovete essere per un po’ di tempo afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con il fuoco – torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà.
Le generazioni che non hanno visto Cristo
L’autore della lettera, come Giovanni nel vangelo di oggi, si rivolge ai cristiani che non hanno visto Gesù, ma che credono in lui.
I vangeli che ogni giorno si leggono durante l’ottava di Pasqua in vari modi riprendono il “vedere” Gesù: Maria di Magdala e i discepoli lo vedono senza vederlo ed i loro occhi si aprono quando ascoltano la parola delle Scritture e la parola di Gesù.
Vangelo (Gv 20, 19-31)
Le “apparizioni” di Gesù
Gli evangelisti, Paolo e gli Atti raccontano le “apparizioni” di Gesù risorto.
Egli si mostrò vivo, dopo la sua passione, con molte prove, per quaranta giorni (At 1, 2).
Nel suo vangelo, Luca dopo aver narrato l’incontro di Gesù con i due discepoli di Emmaus, riporta l’irruzione di Gesù nella sala dove erano riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro (Lc 24, 36-49) e così conclude il suo vangelo:
poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo (Lc 24, 50).
Nel vangelo di Luca Gesù viene portato in cielo la sera stessa della Risurrezione, ma lo stesso Luca, negli Atti, afferma che dopo la Passione Gesù si mostrò vivo per quaranta giorni.
Quaranta è il numero pieno, il tempo necessario perché l’opera di Dio si compia in mezzo agli uomini: quaranta giorni per Mosè, quaranta giorni per Elia, quaranta giorni per Gesù.
Secondo gli Atti Gesù ha avuto bisogno di manifestarsi ai suoi per quaranta giorni dopo la morte-risurrezione. A sua volta Paolo così formula il suo annuncio:
a voi infatti ho trasmesso anzitutto quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me, come ad un aborto (1Cor., 15, 3-8).
Paolo usa il verbo apparire: per noi la parola apparizione è parola un po’ logora e svilita. Un eccesso di “apparizioni” rischia di alimentare dubbi piuttosto che alimentare la fede.
Gli evangelisti usano verbi ed espressioni diverse per narrare le “apparizioni” di Gesù risorto.
- Marco utilizza il verbo apparire:
Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Magdala … (Mc 16, 9).
E poco dopo:
Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna (Mc 16, 12).
Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola […] (Mc 16, 14).
- Matteo
Abbandonato in fretta il sepolcro […] le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse […]. Allora Gesù disse loro: Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea; là mi vedranno (Mt 28, 8-10).
Gli Undici, accogliendo la parola dell’angelo e dello stesso Gesù, vanno in Galilea ed il vangelo di Matteo così si chiude:
Gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitavano. Gesù si avvicinò e disse: […] (Mt 28, 16-18).
- Luca
Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro (Lc 24, 15).
Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto (Lc 24, 24).
Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista (Lc 24, 31).
Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le scritture? (Lc 24, 32).
Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come lo avevano riconosciuto nello spezzare il pane (Lc 24, 35).
Subito dopo:
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: […]. Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: […]. Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho. Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: Avete qui qualche cosa da mangiare? E gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro […]. Allora aprì loro la mente per comprendere le scritture (Lc 24, 36-45).
- Giovanni
Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro […]. Detto questo si voltò indietro e vide Gesù in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù […]. Ella, pensando che fosse il custode del giardino […]. Gesù le disse: Maria. Ella si voltò e gli disse in ebraico: Rabbunì (Gv 20, 11-16).
La sera di quel giorno Gesù si manifesta ai discepoli e a Tommaso, incredulo e credente (Gv 20, 19-31): è il vangelo di questa domenica in Albis.
L’ultima manifestazione di Gesù, nel vangelo di Giovanni, avviene sul mare di Tiberiade, in Galilea, dove i discepoli erano tornati ed avevano ripreso il loro lavoro di pescatori:
Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade e si manifestò così […]. Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: Figlioli, non avete nulla da mangiare? […]. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: È il Signore […]. Disse loro Gesù: Portate un po’ del pesce che avete preso ora […]. Gesù disse loro: Venite a mangiare […]. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli dopo essere risorto dai morti (Gv 21, 1-14).
Alcune sottolineature
- Le “apparizioni” del Risorto, nei testi sopra riportati dei quattro evangelisti, sono raccontate con verbi ed espressioni che rimandano ad un incontro, ad una manifestazione, ad una presenza: apparire, venire, avvicinarsi, venire incontro, camminare con loro, stare in mezzo, manifestarsi e aprire gli occhi.
Il Nuovo Testamento utilizza un vocabolario, ampio e differenziato, per dire la presenza del Risorto in mezzo ai suoi, di cui apparizione è soltanto uno dei termini.
- Quando Gesù si manifesta ai suoi, anche ai più intimi, dopo la sua morte e risurrezione, i suoi lo vedono, ma non lo riconoscono: I loro occhi erano incapaci di riconoscerlo (Lc 24, 16).
Anche il racconto di Giovanni sulle rive del lago di Tiberiade, in Galilea, contiene questo strano elemento di cecità: non si erano accorti che era Gesù (Gv 21, 4).
Il primo a cui si aprono gli occhi è il discepolo amato da Gesù (Gv 21, 7).
In un’altra “apparizione” in Galilea, che conclude il vangelo di Matteo, ritorna l’incapacità da parte dei discepoli di riconoscere nel Cristo risorto Gesù di Nazaret, con cui avevano vissuto per due o tre anni: Essi però dubitavano (Mt 28, 17).
Quando Gesù si manifesta ai discepoli, dopo l’episodio di Emmaus, è scambiato per un fantasma e per convincerli Gesù compie un gesto fisico di riconoscimento: Toccatemi e guardate (Lc 24, 39).
La stessa cosa avviene in quell’incontro nel cenacolo, che Giovanni distribuisce nell’arco di una settimana, prima con i discepoli, assente Tommaso, poi con quest’ultimo presente (è il vangelo di questa domenica): anche qui c’è l’invito di Gesù a un contatto fisico per riconoscerlo (Gv 20, 27).
Perché i discepoli non lo riconoscono?
Con le diverse manifestazioni di Gesù risorto gli evangelisti vogliono dirci che il Cristo pre-pasquale e il Cristo post-pasquale sono lo stesso, ma non sono lo stesso: il corpo risorto, “glorioso”, del Cristo non è quello di un cadavere rianimato, come il corpo di Lazzaro, ma è un corpo qualitativamente altro, una vita qualitativamente altra.
Per vedere il corpo risorto di Gesù sono necessari “occhi” diversi, che sono raccontati in tutti gli episodi citati, che diciamo sono gli occhi della fede, come per Giovanni che vide e credette e per i due di Emmaus, cui si aprirono gli occhi.
Gli specialisti di Sacra Scrittura riuniscono le “apparizioni” di Gesù risorto in due diversi schemi narrativi: le apparizioni di riconoscimento e le apparizioni di missione (Mt 28, 16-20; Mc 16, 15-18; Lc 24, 46-49; Gv 20, 21-22).
- Perché insistere sul fatto che Gesù si mostrò vivo per quaranta giorni?
La presenza del Risorto in mezzo ai suoi ha, tra altri, lo scopo di ricostituire dei rapporti.
Dopo la sua morte i suoi si erano sbandati, erano scappati da Gerusalemme, come i due di Emmaus, o si erano chiusi in una stanza per paura dei giudei.
Le manifestazioni del Risorto ricostituiscono rapporti con singole persone, con gruppi, con la folla, per trasmettere la forza della Risurrezione che egli vive e che è il fatto cruciale della storia, quella forza già trasmessa a Giuseppe di Arimatea e a Nicodemo che riescono ad avere il coraggio di chiedere il corpo di Gesù.
Tra le persone che Gesù incontra ci siamo anche noi, perché ciascuno di noi viene incontrato da lui come singolo, come gruppo e soprattutto nell’ambito della comunità riunita.
- Le manifestazioni di Gesù vogliono anche rispondere alla domanda: dove e come possiamo incontrare il Risorto?
I testi sopra riportati, tutti alla fine dei quattro vangeli, ci danno più di una indicazione.
Innanzitutto nella parola, quella dei profeti e quella di Gesù: aprì loro la mente per comprendere le Scritture (Lc 24, 45).
Un altro luogo è lungo la via, cioè nel quotidiano, in incontri e in relazioni buone: è ciò che avviene per Maria di Magdala, per i due discepoli di Emmaus e per i due discepoli ricordati da Marco (Mc 16, 12).
A più riprese dall’angelo e da Gesù stesso viene data l’indicazione: Andate in Galilea, là lo vedrete. Ho già ricordato durante la Settimana Santa che la Galilea è il luogo da dove venivano, è il luogo dove tutto era cominciato, ed è per i discepoli e per noi il luogo del quotidiano.
Un altro luogo dove poter incontrare il Risorto ci è indicato da Marco: mentre erano a tavola (Mc., 16, 14), che ci viene anche detto con forza dai due discepoli di Emmaus, che lo hanno riconosciuto nello spezzare il pane, e da Gesù stesso alla fine del vangelo di Giovanni: Venite a mangiare (Gv 21, 12).
- Tra i tanti incontri raccontati dagli evangelisti, Giovanni ci narra quello con Maria di Magdala, il primo degli incontri, dove Maria rappresenta la ricerca di ognuno di noi di Gesù morto e risorto, la ricerca del senso della vita, del senso dei momenti bui, delle fatiche e dei momenti di luce.
L’evangelista Giovanni, con poche parole, ci fa ben vedere che la ricerca di Maria di Magdala è sbagliata, perché va a cercare Gesù nella tomba, cioè nell’ambito dell’esperienza precedente, cui è abituata; non permette che Dio le venga incontro dal di fuori di quella esperienza, al di là e al di sopra delle cose di tutti i giorni. Gesù risorto si manifesta inserendosi proprio nelle cose di tutti i giorni, ma con una forza che supera tutte le esperienze precedenti.
- Gesù chiama Maria per nome. E Maria, che con gli occhi non l’aveva riconosciuto, lo riconosce dalla voce, dalla parola, che ha qualcosa di più interiore dello sguardo.
Quando la parola di Gesù risorto ci raggiunge, allora anche i nostri occhi si aprono e possiamo dire, come Maria di Magdala: Ho visto il Signore.
- Diventa necessario allora ricondurre le “apparizioni” pasquali di Gesù al loro vero ambito di incontro e di esperienza di fede, spogliandole di tutti gli aspetti troppo immaginari o straordinari.
Esperienza di fede non vuole dire fantasia o assenza di realtà storica: proprio per questa ragione Luca e Giovanni raccontano che Gesù mangia una porzione di pesce arrostito.
La presenza di Gesù continua anche ai nostri giorni, in modi e forme diversi e la sua azione all’interno di noi è viva ed efficace, capace di mutare la vita di una persona come avvenne per Paolo.
Le “apparizioni di missione”
Le due più significative “apparizioni di missione” sono quelle raccontate da Matteo al capitolo 28 del suo vangelo e da Giovanni nel vangelo che leggiamo oggi.
Gesù si manifesta ai suoi discepoli in un luogo non precisato, dove erano chiusi per timore dei giudei.
Il Risorto dona la pace, che diventerà compito e responsabilità della Chiesa.
Alla fine di ognuno dei quattro vangeli, il Risorto fa apertamente comprendere ai suoi che essere discepolo comporta una missione, come già Gesù aveva loro detto nei discorsi di addio (Gv 13, 16-20; 15, 1-8).
Il saluto Pace a voi oltrepassa il suo abituale significato: la pace che Gesù augura loro è di essere capaci di vincere lo scandalo della croce e di superare le ripercussioni che questa vicenda ha avuto nella loro vita, augurio che in questo tempo di coronavirus risuona per noi con un inedito accento.
Si tratta di non dimenticare, anzi, di ricordare.
Per questo motivo Gesù mostra i segni della sua passione e della sua morte: mostrando le sue mani e il suo costato, Gesù vuol far vivere ai discepoli l’esperienza di non essere di fronte ad un fantasma.
L’evangelista Giovanni, come tutta la tradizione della Chiesa, raccontando questo episodio, vuole imprimere nella mente e nel cuore dei discepoli che la Risurrezione suppone la croce, che non deve essere mai dimenticata.
L’uomo può vincere il male con il bene, ma attraverso e mediante le inevitabili sofferenze di ogni vita.
Solo dopo l’evento pasquale il Maestro può trasmettere ai discepoli la missione che il Padre stesso gli aveva affidato: Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi (Gv 20, 21).
L’incredulità di Tommaso
L’apostolo Tommaso non era presente quando, otto giorni prima, Gesù si era manifestato ai suoi.
Tommaso rifiuta di fidarsi della parola degli altri discepoli e vuole verificare di persona la attendibilità della “apparizione” di Gesù che gli hanno raccontato.
Gesù dice a Tommaso: Non continuare a divenire incredulo (così suona la traduzione letterale del greco).
Tommaso è invitato da Gesù a far crescere la sua fede: è chiamato a superare la fede nel Messia liberatore di Israele, come lui la concepiva, per credere al Figlio dell’uomo, morto e risorto.
Ognuno di noi si ritrova in Tommaso: le situazioni della vita possono far sì che la nostra fede sia spiazzata, ma in questi momenti, come Tommaso, ognuno di noi non è solo, perché il Signore risorto viene a cercare ognuno di noi, chiamandoci per nome, come Maria.
Sta a noi lasciarci trovare e lasciarci educare.
Le ultime parole pronunciate da Gesù nell’incontro con Tommaso, Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto (Gv 20, 29), suonano come una promessa, un augurio, il più bello che potesse essere rivolto a qualsiasi lettore di qualsiasi epoca del vangelo di Giovanni.
Nessuna generazione di cristiani è meno favorita della prima, Gesù stesso prega proprio per questo: Come tu hai mandato me, anch’io ho mandato loro nel mondo […] prego non solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola (Gv 17, 18-20).